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Lifestyle
08 Febbraio 2016
L'upper east side di Miami
Abbiamo almeno tre motivi validi per partire alla volta di Miami con Francesca oggi: il primo è che è lunedì e si ha voglia di scappare lontano. Il secondo è che fuori il tempo è così grigio che quasi ci dimentichiamo quanto è bella la nostra città con il sole. Il terzo e ultimo motivo è che il quartiere dove ci porta la nostra contributor deve essere davvero un gioiello da scoprire e da vivere. Vi abbiamo convinte?

A Miami non c’è la fashion week, ma se c’è qualcosa che batte tutti è l’inverno con le giornate fresche a zero umidità col sole di quel giallo un po’ ghiaccio, ma poi non così tanto che non c’è cashmere o guanti senza dita che non lo risolvano. Anche se siamo nello stesso emisfero, l’inverno morbido e tiepido di Miami corrisponde allo stesso del freddo incallito che soffriamo in Italia: dura pochi giorni ed è come se fosse un autunno senza la pioggia. E per non finire per fare conversazione tipo high tea del pomeriggio, oggi vi porto in giro per una zona di Miami che sta risorgendo dall’anonimato, l’Upper East Side.
Suona molto Gotham City, ma Miami ha avuto i suoi momenti di gloria lungo quel tratto della Biscayne Boulevard che va tra la 38 avenue e la 75. Il panorama è piatto, non c’è la spiaggia, solo parchi e case di non più di due piani, ma lo zampino di Ted Lapidus è evidente con la sua architettura Mid Century. Un lungo-costa sui generis che ha solo tre palazzi sull’acqua, e quando dico sull’acqua intendo che le fondamenta coesistono con i manatees. Il complesso si chiama Palm Bay e si estende in un cul-de-sac ad est del Biscayne Boulevard in uno spazio che doveva diventare un campo da golf. È nato dal capriccio di una donna ricchissima che voleva una via d’uscita dal freddo e dalla vita convenzionale di New York. Il marito per accontentarla le comprò il terreno e il resto è storia: il rifugio dal freddo è la scusa perfetta per feste senza fine e stravaganti degne del Grande Gatsby. Quello che rimane ora è la vista mozzafiato, le palme, mangrovie, le bromelias e orchidee che si arrampicano selvatiche in festanti come la gramigna, il sole che quando sorge entra in casa come un ospite inaspettato e torna al tramonto per l’aperitivo sul balcone, shaken not stirred.
La vita del quartiere è scandita da ritmi che ricordano i tempi “quando passava l’arrotino ad affilare i coltelli”. Ci sono ancora i motel con le insegne da modernariato e usati ancora per quello per cui i motel sono famosi, le case dell’amore. Il mercatino del sabato mattina è il ritrovo, come il bar in piazza, incontri e conosci i vicini e condividi una spremuta di limone, l’infuso d’erbe per combattere lo stress, l’insalata del contadino zero chilometro. Manca la pasticceria, ma si rimedia al dolce della Domenica con una selezione di delizie da una boutique di cioccolatini importata da Boston.
Upper east side è la zona di Miami che più mi ricorda il nostro stile di vita italiano, piccoli ristoranti a gestione individuale, una scuola elementare, e un modo di vita, indiscusso, di rifiuto del consumismo sfrenato. Ci sono più boutique di vintage che supermercati, ratio 10 a 1 e si respira aria di ‘hood, di vicinato, quello per cui mentre passeggi con il cane segui un cartello di un garage sale e finisci per fare amicizia con la signora che lo ha organizzato perché è una sarta d’arredamento per il cinema e salva dalmati dall’abbandono e ti trovi in una scena de “La carica dei 101” senza essere in Central Park.

Questo post ci ha fatto davvero venire voglia di fare le valigie, e a voi?

DD

Cliccate qui per il testo in inglese.

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